Vorrei poter controllare il tempo
E tornare là dove ho abbracciato il silenzio,
Tenero e avvolgente,
Che indirizza lo sguardo oltre la superficie
Di una mondana caducità.
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Vorrei poter controllare il tempo
E tornare là dove ho abbracciato il silenzio,
Tenero e avvolgente,
Che indirizza lo sguardo oltre la superficie
Di una mondana caducità.
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A volte mi stufo di scrivere:
Ho sempre più voglia di passeggiare;
Respirare la frenesia delle mille vite che incrocio;
E vivere,
Limpidamente e pienamente,
Come mi hanno insegnato le parole.
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Vivere,
Senza aspettative né pretese;
Lontana dall’arroganza e i rimpianti.
Per poter un giorno sfiorare le nuvole
E non voler più badare al chiasso.
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A volte sogno
Di come sarebbe bello perdersi:
Accantonare ogni razionalità
E favorire la magia dell’ignoto;
Scoprire ogni angolo di un’anima,
Tanto tormentata quanto la mia;
Trovare riparo nella solitudine altrui
E smussare insieme l’amarezza,
Per poter svegliarmi un giorno cosciente
Di non doverla più affrontare da sola.
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Sono bloccata in un vortice
di inspiegabile decadenza.
Ovunque volga lo sguardo –
Scie di tanta incertezza;
Ogni riparo sa di insincerità.
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Ogni lupo solitario, infine,
O a un certo punto della sua esistenza,
Ha bisogno del proprio branco di fiducia
Con cui viaggiare in completa armonia con il resto.
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Nostalgia degli aeroporti –
Girare in solitudine tra corsie
Pregne di condizionatori invernali,
Ad aspettare gli annunci e
Nutrirsi di panini e caffè al volo,
Ad osservare i saluti degli altri
E i teneri ma frettolosi abbracci;
Con la voglia di rivedersi domani,
Nella speranza di rivedersi più grandi.
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Passiamo la vita a fare slalom
Tra un commento viscido
E un’osservazione volgare;
Tra un richiamo, un insulto
E uno sguardo trafiggente,
Che farebbero sentire impura qualsiasi qualità.
E allora si cercano tormentose soluzioni
Per annebbiare con qualcosa l’udito
E autoinfliggersi una momentanea cecità,
Perché alla repulsione si preferisce dissimulare,
Anche con il cuore che esplode di indignazione,
Fin quando non diventa amara normalità.
Una normalità che si ha paura di confessare,
Quando si dovrebbe unicamente denunciare.
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Correre è faticoso.
Il primo quarto d’ora, poi, è estenuante;
Ti manca il respiro e non trovi il ritmo,
Le gambe cedono e ti sembra di svenire,
Vorresti fermarti, ma tieni duro –
Ormai è una sfida, questione di orgoglio.
Superato quel quarto d’ora, però,
La situazione sembrerebbe migliorare:
La stanchezza si tramuta in forza,
Pian piano si trova il ritmo e torna il respiro.
Questo ti dà carica, senti l’adrenalina salire,
Inizi a pensare in grande e dici:
Ora posso fare mezz’ora.Il vero problema subentra proprio alla mezz’ora:
Un brevissimo frangente in cui vorresti mollare,
Ma non lo fai, decidi che puoi fare l’ora.
È un momento più snervante del primo,
Il corpo è decisamente stanco
E il ritmo più spezzato, non sai se resisterai;
Ma se lo superi, il gioco è fatto.
E come per magia, ti sembra di avere fiato infinito,
Non percepisci più la fatica e fluttui spensieratamente,
In completa armonia con il corpo
Che ti potrebbe placidamente far fare un’altra ora.Ecco, è quell’armonia lì
E la sensazione di totale libertà
A essere l’unica a crearmi
dipendenza.
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Amo la musica, ma amo di più
La musica che deve essere assaporata
Per abituare il palato, come con il caffè amaro
Che può non piacere all’inizio
Per poi non riuscire a berlo diversamente.
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